Il mercato degli affiliati e l’esigenza del garante. «Gli chiesero di sponsorizzare il loro ingresso nel clan Zagaria»

Schiavone Zagaria Maresca

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Qualche anno fa, quando il clan attraversava un periodo di forza, di espansione criminale, affiliarsi non era semplice: serviva, dopo aver subito un attento screening sull'affidabilità, uno sponsor serio. Almeno questo è quello che racconta l’ex camorrista Salvatore Laiso.

Il collaboratore, nel corso della sua collaborazione con la Dda, ha reso noto agli investigatori diverse dinamiche esistenti all’interno dell’organizzazione mafiosa. Tra i meccanismi che ha sgranato il pentito c’è il presunto tentativo di due persone,  Pietro Falcone ed Orabona, di inserirsi nella squadra del clan Zagaria.

Laiso è arrivato a parlare ai magistrati di tale vicenda mentre spiegava all’antimafia il proprio rapporto con Vincenzo Picone (indagato nell'inchiesta Jambo), fratello del più noto Nicola.

“Con Enzo Picone, - ha dichiarato il collaboratore, - i rapporti, come ho detto, erano ottimi tanto che nel gennaio 2010 proprio tramite Enzo Picone, o meglio grazie al suo aiuto aprii  a Trentola Ducenta, vicino casa mia, nei pressi del comune di Trentola, aprii una cornetteria chiamata ‘La Notte delle Stelle’. Tale cornetteria la intestai alla mia convivente, Francesca De Rosa.  […] Ebbene, fu Enzo che mi presentò il commercialista che mi aiutò a fare le pratiche per l’apertura dell’attività. All’epoca ero agli arresti domiciliari.”

Laiso, durante gli interrogatori, in diverse occasioni, come già abbiamo evidenziato (CLICCA QUI) ha rimarcato un contrasto sotteso tra due big del sistema camorristico: ci riferiamo al boss di Casapesenna ed al figlio di Sandokan. Ed il pentito ha sottolineato tale discrepanza anche nelle recenti dichiarazioni (inserite nell'ordinanza Jambo) del maggio 2015.

“Non deve stupire, - ha detto il collaboratore, - che avessi un rapporto così buono con Vincenzo Picone anche se io appartenevo Salvatore Laisoagli Schiavone e lui a Michele Zagaria in quanto eravamo amici fin da ragazzi, eravamo paesani e comunque non vi era guerra fra gli Schiavone e Zagaria a parte le invidie tra i due capi. Insomma, - ha commentato Laiso, - anche se sotterraneamente Schiavone Nicola voleva far fuori Michele Zagaria formalmente i due gruppi erano alleati. Come ho già spiegato, sul territorio di Trentola proprio Vincenzo assicurava un coordinamento tra il suo gruppo ed il mio tanto che fissava gli incontri tra me e gli esponenti del mio gruppo ed i due uomini di Michele Zagaria, che operavano sul territorio di Trentola per le estorsioni, vale a dire ‘Pasqualino’ e ‘Oreste’, e cioè Pasquale Pagano e Oreste Basco. Durante questi incontri, che avvenivano nel negozio di abbigliamento a Trentola di Ferdinando Martucci, defunto, discutevamo delle estorsioni che avevamo chiuso oppure del fatto che su certi cantieri su cui eravamo intervenuti noi il costruttore già si era messo a posto con ZAGARIA o viceversa.”

Ed è a questo punto che, nel verbale, Salvatore Laiso affronta il presunto tentativo a vuoto di affiliazione di Falcone ed Orabona nel clan Zagaria.

 Come ho  già detto, per far capire comunque come ci aiutassimo reciprocamente, nel 2009, prima di essere sottoposto agli arresti domiciliari il Picone, - ha proseguito il pentito, -, venne da me a casa per dirmi che sospettava che Pietro Falcone e Orabona mentre io era ancora in carcere avevano sparato ovvero avevano mandato a sparare contro il suo portone di casa. Picone era convinto della responsabilità dei predetti in  quanto Falcone ed Orabona in precedenza avevano chiesto a  Vincenzo Picone  di sponsorizzare un loro ingresso nel gruppo di Michele Zagaria. Sennonché   mi disse il Picone che lui nel periodo in cui gli era stato chiesto questo favore non era riuscito ad incontrarsi con lo zio e cioè con Michele Zagaria  perché quest’ultimo aveva dei problemi. Secondo Picone, Pietro Falcone ed Orabona pensarono che lui li aveva abbandonati e quindi si offesero e per questo spararono contro il suo portone di casa.  Picone che si era impaurito mi chiese di chiarire questo equivoco con Falcone e Orabona che io già conoscevo.

Insomma, stando al racconto di Laiso, Vincenzo Picone era convinto che Falcone e Orabona avessero sparato contro il suo portone di casa perché non aveva garantito la loro entrata nel gruppo del boss di Casapesenna.

“Io riuscii ad incontrami con Falcone ed Orabona i quali, - ha continuato il pentito, - su mia richiesta, richiesta che gli mandai tramite due miei amici, Maurizio Zammarielllo e Giovanni Pirozzi,  vennero presso la mia abitazione ( ripeto io ancora non stavo agli arresti domiciliari ). I due mi dissero che non erano stati loro a sparare o far sparare contro l’abitazione di  Vincenzo Picone . Io per la verità non ero convinto della loro versione, tuttavia, poiché la cosa non mi importava più di tanto mi comportai come se avessi creduto a quello che dicevano. I due poi, mi chiesero se potevo aiutarli ad entrare nel gruppo nel Schiavone, visto che i loro tentativi di entrare nel gruppo Zagaria non erano andati a buon fine. Io come ho già spiegato in precedenti verbali parlai con  Nicola Schiavone , il quale poi fece entrare nel gruppo il Falcone ma non Orabona, perché ritenuto confidente. In questo contesto di rapporti molto stretti tra me e  Vincenzo Picone , quest’ultimo mi diceva che suo fratello Nicola era uno dei riferenti di Michele Zagaria insieme ad altri che ho già indicato, sul comune di Trentola Ducenta. Mi spiegava che era lui che curava i rapporti tra il fratello e Michele Zagaria  e comunque tra il fratello ed il gruppo camorristico”.

Questo è quello che accadeva qualche anno fa. Ora, invece, dopo la stagione dei pentimenti, che ha in parte disarticolato il sistema, il mercato degli affiliati, quali condizioni attraversa?

Il pm della Dda, Catello Maresca, in una recente intervista, ha frenato gli animi di chi sbandiera una vittoria dello Stato sul Clan: "Noi non ci siamo fermati. Nonostante dicano che i Casalesi siano finiti, il nostro impegno quotidiano dimostra che non è cosi". E prima di queste parole, il magistrato antimafia ha lasciato intendere che l'organizzazione mafiosa sta mettendo (se non ha già messo) mano al vertice, trovando il fisiologico rimpiazzo di Zagaria.

C'è ancora da indagare, quindi. Alla luce di questa disamina, fatta da un pubblico ministero che affronta da anni la piaga mafiosa in prima linea, è giusto continuare a porsi interrogativi sulle attuali dinamiche, assolutamente non morte, della camorra casertana.

Oltre al vertice, ogni organizzazione, per rimettersi in piedi, per riottenere vigore, necessità di una base solida. E la base per il clan sono gli affiliati. C'è ancora da indagare.

Giuseppe Tallino