«Tu sei stato il nostro capo, tu ci hai insegnato il male». Il castello di Zagaria, a colpi di indagini e pentiti, si sta sgretolando, ma attenzione: il nefasto si rigenera, sempre

Nella foto Pellegrino, Caterino, Zagaria e Barone

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“Tu sei stato il nostro capo, tu ci hai insegnato il male ed abbiamo trasmesso il male.” Sembrano parole tirate fuori da un libro satanico, da un volumetto, da recitare incappucciati tra candele, che inneggia a Belzebù. Questo virgolettato, invece, con meno esoterismo, rappresenta una dichiarazione del pentito Massimiliano Caterino, meglio conosciuto nell’agro aversano come ‘o Mastrone,  resa, lo scorso maggio, al giornalista di Rai 3, Geo Nocchetti (CLICCA QUI PER GUARDARE IL VIDEO INTEGRALE).

“Tu sei stato il nostro capo, tu ci hai insegnato il male ed abbiamo trasmesso il male.” Con il “nostro capo” Caterino si riferisce a Michele Zagaria, boss di Casapesenna, catturato nel dicembre del 2011, dopo una latitanza agiata e svolazzante (dal respiro internazionale), lunga 16 anni (CLICCA QUI PER LEGGERE IL FOCUS SULLA LATITANZA DI ZAGARIA).  Mentre quel “tu ci hai insegnato il male” ha diretta attinenza con l'agire mafioso, fatto di sangue, cemento, monnezza e tanto altro, santificato da Bardellino e Cosa Nostra.

Erroneamente, spesso, si fa coincidere l’inizio dell'importante stagione dei pentimenti (CLICCA QUI PER LEGGERE) con la collaborazione di Antonio Iovine. Ed invece a dare il via al 'canto generale', nel marzo del 2014, è stato proprio Caterino.

Oltre ad innescare l’effetto domino, capace di traghettare nelle braccia dello Stato numerosi affiliati, ‘o Mastrone è stato anche il primo pentito del gruppo Zagaria,  fazione del Clan dei Casalesi a dir poco ermetica, compatta, che aveva fatto della ferrea e scrupolosa organizzazione, della capillarità in settori dell’alta imprenditoria e, stando alle recenti inchieste della Dda, pure della politica che conta, la sua complessa forza delinquenziale.

E' inutile girarci intorno: Caterino ha rappresentato la crepa base che ha destabilizzato tutto il castello.

L’altra picconata alle fondamenta della mega struttura zagariana è stata inflitta, nell'aprile del 2014, dal brianese Attilio Pellegrino, ex Mallardo trasmigrato nel clan dei Casalesi per gestire le finanze (al tempo della cassa comune della mafia casertana).

Poi, 15 mesi fa, è stata la volta di Generoso 'Gerry' Restina, tornato da Modena per accudire, insieme alla moglie, il latitante di Casapesenna nell'abitazione di via Colombo (CLICCA QUI PER LEGGERE LA STORIA DI "GERRY"). 

Chiudiamo il pallottoliere dei pentiti (arrivando a quota 4) con il recente annuncio di voler ‘cantare’ eseguito da un altro componente della fazione Zagaria nel corso di un'udienza del processo Medea: si tratta di Michele Barone (omonimo di un altro ex camorrista, già pentito: prima setoliano e poi appartenente al gruppo misto dei Mallardo e Ricciardo, il quale con l'area  di Casapesenna, però, non ha mai avuto niente a che fare CLICCA QUI PER LEGGERE)

Tracciare un perché generale e comune dei pentimenti è impossibile. Ogni affiliato è stato spinto a collaborare con la giustizia da un motivo proprio, personale, che varia di caso in caso: si tratta di impulsi che vanno dalla non sopportazione, fisica e mentale, del peso della galera, alla costatazione dei problemi economici del Clan, dalla volontà di garantire una “vita diversa” ai propri cari, all'incredulità di essere accusato di reati non fatti da compagni della medesima cordata criminale. E la storia dei sensi di colpa? Ci crediamo poco.

Al di là dei moventi, però, la collaborazione, lo scriviamo con una massiccia dose di cinismo giudiziario, resta un fattore fondamentale, quasi indispensabile per rendere solidi gli impianti accusatori forniti dall'antimafia partenopea.

Dopo anni di dominio camorristico, di espansione economica, la fazione che nel post Schiavone più è cresciuta in termini di fatturato e di potere territoriale, ha incassato sberle pesanti dallo Stato: citiamo l’ultimo colpo messo a segno dalla Procura di Napoli grazie al sequestro da 2 milioni e mezzo di euro a carico di 4 indagati ritenuti contigui al gruppo di Casapesenna (CLICCA QUI PER LEGGERE)

Tuttavia c’è ancora altro da ‘sgamare’, c’è la maledetta zona grigia, un universo da scoprire, animato da insospettabili, professionisti dell’impresa e della politica, e c’è il mondo dell’alta finanza, che custodisce i bottini della famiglie mafiose (bottini che, ancora non toccati, determinano uno dei motivi della sopravvivenza del clan). Per non dimenticare le nuove direttrici del guadagno mafioso, che, gradualmente, si stanno adagiando sempre più sul mercato della droga (basta dare un'occhiata alle nuove piazze di spaccio itineranti presenti sorte in Terra di Lavoro).

Cosi come l'abbiamo conosciuto, il fortino di Zagaria non c'è più, sta crollando, e questo è un dato oggettivo, ma serve tener alta la guardia: il male che il boss di Casapesnna ha insegnato, nonostante gli sforzi, rischia di rigenerarsi, sempre.

Giuseppe Tallino