Il Clan è ferito ma non è morto? Era chiaro già prima della lettera al cimitero: senza volontà politica la mafia, cambiando pelle, vivrà per sempre. E questo sistema amministrativo/partitico non è capace di mostrare fermezza nel combattere la camorra

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Occorre una lettera di minaccia ai familiari dei pentiti per dare il segnale che il Clan è ferito ma non è morto?  No.

Che l’organizzazione fondata da Bardellino, seppur traballante, sia ancora in piedi, era ovvio, era palese già prima della missiva fatta ritrovare, con proiettili annessi, nel cimitero di S.Cipriano.

Un sistema malavitoso, radicato nell’imprenditoria, con tentacoli capaci di insinuarsi nelle amministrazioni pubbliche, un apparato mafioso con una storia criminale solida, che agisce  su popolazioni caratterizzate dalla sfiducia nello Stato, non può essere debellato solamente dal “canto” di un ex mammasantissima e dai racconti di affiliati di media e bassa lega.

L’Italia ha affrontato due grandi battaglie. Una, vinta, contro il terrorismo delle Brigate Rosse e di altri movimenti sovversivi. Il segreto del successo, in quello scontro,  ha spiegato qualche anno fa, in modo lucido, il calabrese Antonio Nicaso, è legato “alla specializzazione ed alla centralizzazione delle tecniche investigative, ma soprattutto alla volontà politica”.  L’altra battaglia, persa, invece, è proprio quella alle mafie, e “nella lotta alle mafie non c’è mai stata volontà politica”.

“Anzi, - ha precisato il giornalista, docente e saggista di Caulonia, - quando i magistrati hanno cominciato ad alzare il tiro colpendo gli intrecci criminosi tra mafia, pezzi della politica, dell’economia e delle istituzioni, a farne le spese sono stati i pool antimafia che avevano mutuato le tecniche investigative dell’antiterrorismo. Le mafie, in Italia, - ha scritto il professore, con Nicola Graterri, nel libro ‘La malapianta’, - esistono da almeno due secoli, ma per vederle vietate e punite nel codice penale ci sono voluti gli omicidi del deputato Pio La Torre e del generale dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa”.

Non c’è volontà politica. E’ grave. Fa male affermalro, ma è vero. Dunque, quella lettera intimidatoria del Clan, spedita con Schiavone e Zagaria al 41bis e con Iovine pentito, non deve sorprendere. E circostanziando il discorso d’ampio respiro di Nicaso in provincia di Caserta, non può esserci assolutamente, oggi, in Terra di Lavoro, una chiara e decisa volontà politica di sconfiggere le mafie, soprattutto quando quella fermezza nel distruggere le organizzazioni malavitose dovrebbe essere mossa dalla stessa classe amministrativa flagellata da tanti arresti cautelari, in alcuni casi per presunte corruttele e in altre circostanza per presunti rapporti (diretti o indiretti) con la camorra: il tutto, poi, senza innescare un minimo di reazione di rigenerazione positiva, programmatica, reale, né civica né partita (o movimentista), nella porzione politica che si dichiara sana rispetto alla claque colpita ed attenzionata dalle procure.

Ribadiamolo con franchezza, con parole più chiare: come potrebbe una comunità  politica che non ha battuto ciglio ( se non con sterili convegni e dichiarazioni di facciata) di fronte all’arresto di 7 sindaci in appena 28 mesi [dal dicembre 2014 all’aprile 2016,  anche se, ora, l’elenco, con le recenti operazioni dovrebbe essere aggiornato (CLICCA QUI PER LEGGERE L’ARTICOLO)], mostrare concretamente, con azioni fattibili ed intransigenti, la volontà di contribuire a debellare la mafia?

Ritornando allo stato di salute del Clan, è pur vero che un atto plateale, come quello della lettera al cimitero, riportato dalla stampa oggi (CLICCA QUI PER LEGGERE L’ARTICOLO DE IL MATTINO), è sintomo di palesi ed ormai assodati problemi interni all’organizzazione.

I Casalesi si sentono con le spalle al muro: l’era dei pentimenti (nonostante non sia stata letale) ha scombussolato tutti i loro disegni criminosi, e la magistratura, grazie pure alla spinta dei tanti ex affiliati divenuti collaboratori,  sta toccando quel terzo livello pericolosissimo, fatto di colletti bianchi galleggianti in un grigio rischioso, quasi velenoso .

Sia chiaro: l’odierno sussulto criminale, di un’organizzazione che ha sparso sangue e monopolizzato gli affari in Campania e fuori dalla Campanai, magari avrà sorpreso i cittadini, ma non gli inquirenti, che sapevano e sanno benissimo la persistente vitalità del Clan.

Diciamolo schiettamente: la lettera al cimitero anima, incuriosisce  i lettori, ma rappresenta, a nostro avviso, solo l’ennesima conferma per la Dda di un Clan, ripetiamolo, ferito ma non morto, che ha patito e patisce il peso delle collaborazioni con la giustizia.

La mafia sta cambiando. Ed in provincia di Caserta, probabilmente, sta mutando anche target di affari: pizzo, monnezza e appalti vari non garantiscono più entrate solide, fluenti. A tale trend negativo per la criminalità, basato su questi tre assi di business, va affiancato, però, un ingente aumento  (trend positivo per la criminalità) di smercio della droga, soprattutto in zone prima illibate dalla diffusione diretta di cocaina e di altre sostanze stupefacenti.

Il Clan, tramortito, sopravvive e proverà a riorganizzarsi, non solo cambiando affari, ma cambiando anche uomini.

Il lavoro fondamentale dei magistrati, delle forze dell’ordine, non basta e non basterà per eliminare la mafia. Occorre una volontà politica forte, quella volontà che, ovviamente, l’attuale sistema partitico/amministrativo, in questa terra, con questi ritmi lenti, con questi silenzi, non può offrire.

Giuseppe Tallino